La confisca
effettiva, da parte dello Stato, è scattata solo un paio di mesi fa, alla
chiusura delle indagini coordinate dalla Procura distrettuale antimafia di
Reggio Calabria. Ma il Grand Hotel Gianicolo, arroccato in posizione
privilegiata in vetta al colle elegante che guarda sul centro di Roma, è
passato in amministrazione giudiziaria già tre anni fa, quando gli illeciti
della 'ndrangheta - con riferimento specifico alla vicinanza di Giuseppe
Mattiani, proprietario dell'albergo, con la cosca di Gallico di Palmi – furono
smascherati nell'ambito di un'operazione Antimafia. Già allora il nuovo
direttore designato, Giuseppe Ruisi, si era impegnato per rilanciare
l'immagine della struttura, categoria 4 stelle lusso, con 48 camere, piscina e
vista sulla cupola di San Pietro dal ristorante in terrazza. L'albergo era
sorto poco prima del Giubileo del 2000 in seguito alla riconversione di un ex
monastero con l'intento di trasformarlo in una esclusiva residenza per turisti
in visita alla città. Ma l'operazione, come è stato attestato dalla indagini
della Dia, rientrava tra gli investimenti della società costituita a Palmi
all'inizio degli anni Novanta da Mattiani e figli – l'Hotel Residence
Arcobaleno S.p.A. - per coprire un giro di affari illeciti. E così, negli
ultimi anni, mentre al Grand Hotel Gianicolo il neodirettore cercava di
impostare un nuovo imprinting nel segno però della continuità (confermando e
regolarizzando 34 dipendenti della precedente gestione), il tribunale ha
lavorato fino a pronunciare il suo verdetto, segnando il definitivo distacco
dalle cosche mafiose e l'inizio di una seconda vita per l'hotel del Gianicolo.
Ecco perché,
il 7 giugno, il ristorante del Grand Hotel aprirà le porte al pubblico per
festeggiare insieme con una Cena della Legalità che denuncia tutte le forme di
mafia e celebra al tempo stesso la capacità di risollevarsi senza perdere
terreno. Il registro dei conti degli ultimi tempi, infatti, parla chiaro:
bilancio in attivo (mentre circa il 90% delle attività sottratte alla
criminalità finisce per fallire, dicono le statistiche), hotel ripopolato, un
calendario di appuntamenti che spazia dall'aperitivo a tema alla cena con
degustazione, che attrae turisti stranieri e romani. Il merito è anche del
giovane chef Davide Bagalà, anche lui originario della Calabria
(quella buona, però!), che la cucina del ristorante – con sala affacciata sul
giardino e roof garden – la dirige ogni giorno da un paio d'anni. In occasione
dell'appuntamento speciale, però, ad affiancarlo dietro ai fornelli arriverà Filippo
Cogliandro, chef calabrese eletto ambasciatore della ristorazione
antiracket nel mondo. L'idea delle Cene della legalità, infatti, nasce nel 2012
a Firenze proprio dall'esperienza dello chef e si articola attraverso una serie
di date nella principali città italiane (ed europee) per accendere i riflettori
sulle storture del business mafioso e sulla piaga del pizzo – sperimentata di
persona - e offrire un esempio di buona cucina con i prodotti del territorio.
Una cucina che parla di tradizione e memoria, legata principalmente al mare
della Calabria, ma vuole abbattere le barriere regionali e sociali per offrire
un terreno di scambio, condivisione e denuncia dell'illegalità.
Fonte Il Messaggero 6 giugno 2016