Noviello [Domenico]

Era il titolare di una scuola guida, che non si era piegato al racket, che aveva denunciato e fatto condannare nel 2001 tre camorristi di Castel Volturno. Venne ucciso la mattina del 16 maggio 2008. L’omicidio è la vendetta che giunge dopo sette anni? Più che per motivi di vendetta - non si uccide dopo tanto tempo se si vuole punire qualcuno che si è opposto alla camorra, non è mai successo-, è probabilmente un omicidio simbolico che “parla” a tutti gli altri imprenditori di quel territorio. E c’era certamente più di un motivo per “parlare” con il piombo quel 16 maggio. Il fatto sicuramente più rilevante è l’indagine “Domizia” che aveva portato all’arresto di una sessantina di persone il 17 aprile; ma gli arresti non bastano a scatenare gli omicidi. Per la prima volta alcuni importanti e prestigiosi imprenditori di Castel Volturno avevano collaborato con l’autorità giudiziaria, per la prima volta i casalesi sentono scricchiolare il loro rapporto con il mondo dell’impresa, sentono minacciata quella consolidata convivenza che per anni ha costituito la loro forza, oltre che molti profitti. Sul fronte della collusione, un altro imprenditore aveva collaborato con le forze dell’ordine sino a entrare nel programma di protezione. La “comunicazione” mafiosa, dunque, doveva essere chiara e il messaggio inequivocabile: si sceglie una persona tutta d’un pezzo come Domenico Noviello e la si uccide per intimidire tutti gli altri imprenditori.Ma questo messaggio non basta. Qualcuno non ha ancora capito bene come devono andare le cose. Raffaele Granata, titolare con i figli di un lido balneare a Varcaturo, ai primi di luglio riceve una richiesta estorsiva a cui non intende piegarsi. Allora non è bastato Noviello? Nonostante quell’omicidio c’è ancora qualcuno che si oppone? La reazione di Granata è un altro sintomo di qualcosa che scricchiola, bisogna dare un altro segnale. Stavolta si tratta di un “investimento criminale”: anche in questo caso l’omicidio di Granata (11 luglio) non è la vendetta per una denuncia fatta 16 anni prima, ma un vero investimento economico sulla paura dei titolari dei cento lidi balneari della zona. E, sembra, che a dieci mila euro a lido quell’omicidio abbia fruttato un milione di euro agli uomini di Setola, proprio in quell’estate di sangue. Una riflessione si rende necessaria. All’offensiva dei casalesi in quella stessa primavera ha corrisposto un investimento delle istituzioni nell’attività di contrasto che non ha precedenti e i risultati grazie alle forze di polizia e ai magistrati si sono avuti da subito: le misure cautelari non lasciano zone d’impunità, tutti i più importanti latitanti sono stati consegnati alla giustizia, i sequestri di beni hanno raggiunto numeri significativi. C’è un però, un grande però. Non potrà esserci mai in nessun luogo un risultato duraturo e incisivo senza una forte esposizione della società civile e, in particolare, del mondo imprenditoriale. Come è possibile, allora, che in un contesto di eccellenti risultati repressivi sia del tutto marginale il ruolo di denuncia dell’imprenditoria casertana, al di là di alcune significative eccezioni? Come è possibile che non si comprenda che proprio questo è il momento giusto per schierarsi e opporsi? Senza un’aperta scelta di campo gli stessi risultati ottenuti non potranno che essere effimeri di fronte al riprodursi del fenomeno camorristico. Ma proprio dal luogo dove è stato ucciso Domenico Noviello viene un segnale incoraggiante con la costituzione dell’associazione antiracket di Castel Volturno. Un altro segnale più recente è che a dirigere l’associazione è oggi Massimo Noviello, figlio di Domenico, che ha elaborato e sviluppato la condizione di familiare di vittima di mafia per diventare un dirigente operativo del movimento antiracket, per impedire che altri possano conoscere il tragico destino del padre. Non a caso, Massimo ripete sempre: se nel 2008 a Castel Volturno ci fosse stata l’associazione, probabilmente non avrebbe perso il genitore.