Ci può essere estorsione senza mafia, ma non può esserci mafia senza racket. E non ogni forma d’estorsione è racket. Il racket del pizzo, nell’essere il principale strumento delle mafie per esercitare il controllo del territorio, ha alcune caratteristiche che, fra l’altro, lo distinguono dalle semplici attività estorsive. In primo luogo, la richiesta di pizzo non può essere occasionale ma ripetuta nel tempo: l’organizzazione mafiosa pretende il pagamento secondo scadenze regolari (o ogni mese o ogni quattro mesi in coincidenza di Natale, Pasqua, Ferragosto). Il cedimento dell’imprenditore rappresenta una importante fonte di guadagno e, soprattutto, il modo più efficace per consolidare la subordinazione degli imprenditori. In secondo luogo, l’attività estorsiva non può essere limitata solo a qualche impresa: se in un quartiere ci sono cento esercizi commerciali, la richiesta di pizzo non può essere fatta solo a cinque di loro; deve essere il più possibile a tappeto. In terzo luogo, l’importo del pizzo deve essere definito secondo regole che, in un certo senso, possano anche essere “condivise” dagli imprenditori-vittime. Se il principio fondamentale è quello della proporzionalità, un commerciante d’abbigliamento non pagherà mai quanto un imprenditore edile. Queste tre caratteristiche, quando appaiono insieme e nello stesso territorio, costituiscono il racket del pizzo. Non è certamente un caso che, nella storia della mafia, il racket sia l’attività criminale più antica e quella più immutata; è una costante che accompagna la mafia dentro tutte le sue trasformazioni e nella ricerca di nuove frontiere criminali, una costante dentro una straordinaria mobilità. Si immagini il fatturato di una famiglia mafiosa dal lato delle entrate: la somma complessiva dei proventi delle attività criminali (non consideriamo in questa sede i proventi delle attività lecite) è di 100; le entrate del racket rappresentano 5; il rischio per ottenere quel 5 è inversamente proporzionale al risultato (si corrono molti più rischi d’essere arrestati per un’estorsione che per il traffico di una partita di droga: il racket richiede un’esposizione personale del mafioso più elevata e vi è sempre il rischio d’essere denunciato o individuato). Quindi, sulla base del rapporto rischio/guadagno questa attività criminale non dovrebbe essere conveniente; eppure la mafia non può fare a meno di queste entrate perché non può fare a meno del racket. Il racket è il momento in cui si realizza l’identità della mafia e del mafioso. Il racket è l’essenza della mafia. Il racket contiene per intero, al proprio interno e nel suo esercizio, tutte le componenti della fenomenologia mafiosa. E’ un delitto che può essere consumato soltanto se chi lo esercita riesce a impaurire in modo significativo e continuo. Nessuno può presentarsi in un negozio per chiedere il pizzo se non ha fama di uomo in grado di scatenare la propria forza violenta e di contenere quella degli altri. Questa capacità intimidatoria deve e può svilupparsi solo in un territorio dove la sicurezza personale e dei propri beni è incerta o così viene percepita. L’intimidazione ha successo se c’è un atteggiamento omertoso della vittima perché l’estorsore pretende che il proprio rischio sia ridotto all’indispensabile. La vittima deve essere più propensa a subire anziché denunciare. Il pentito più famoso, Tommaso Buscetta, ci ha offerto una sintesi: “Quando mi presento a lei, lei deve sentire il mio peso e deve sentirlo velatamente. Io non verrò mai a minacciarla, verrò sempre sorridente e lei sa che dietro quel sorriso c’è una minaccia che incombe sulla sua testa. Io non verrò a dirle: le farò questo. Se lei mi capirà bene; se no, lei ne soffrirà le conseguenze”. C’è un elemento di pericolosità per il commerciante che paga il pizzo che non si conosce al momento del primo cedimento. Il problema non è solo quello di cedere una parte del proprio reddito al mafioso; costui attraverso il pizzo entra in azienda, la valuta, ne conosce la capacità di produrre reddito; l’estorsore può a un certo punto, e questo vale soprattutto per certi settori strategici, avanzare altre pretese, magari chiedere di entrare in società con una quota di denaro “sporco”. E’ difficile capire quando non bisogna più cedere una volta che si è dentro “il giro”. Può anche andare peggio: il commerciante che paga il pizzo può essere coinvolto indirettamente negli affari della famiglia mafiosa, ad esempio con la copertura ad un latitante o nascondendo merce pericolosa; e a questo punto si rischia d’essere coinvolti col pericolo della propria vita in una di quelle periodiche guerre tra famiglie.