“Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”: una mattina di fine giugno del 2004 numerosi commercianti palermitani, quando alzano le saracinesche dei propri negozi, leggono queste parole scritte su un manifestino adesivo listato a lutto. E’ Vittorio, uno degli “attacchini”, a spiegare come è nata l’iniziativa: “La frase dell’adesivo ci venne in mente semplicemente durante una chiacchierata al bar: fantasticavamo di aprire un locale, anche se non avevamo i soldi pronti per farlo né un piano aziendale; poi uno si alza a chiedere: ‘ma se poi ci domandano il pizzo?’ Così è nata l’idea di quell’adesivo”. I sette “attacchini” all’epoca avevano un’età media di 25 anni, eppure l’iniziativa segnò uno spartiacque nella città di Palermo e ha rappresentato l’esperienza più innovativa, dopo l’associazione antiracket nella lotta al racket. Per la prima volta si affronta il tema della lotta al pizzo come qualcosa che non è un problema dei soli commercianti ma anche dei cittadini-consumatori. Se il pizzo è strumento di controllo del territorio, l’omertà degli imprenditori è questione che deve coinvolgere l’intera comunità. Da qui nasce l’elaborazione di una nuova strategia della convenienza, il consumo e in questa prospettiva si realizza quel confronto con la mafia a livello della quotidianità: se la mafia è soprattutto quotidianità nell’esercizio di un ruolo sociale, il cittadino- consumatore compie un gesto quotidiano di opposizione. C’è un aspetto assai interessante degli attacchini, comune alle modalità operative dell’associazionismo antiracket, ed è l’“inattualità” del movimento: l’esperienza non è conseguente ad un’emergenza, ad un clamore di cronaca; nasce “a freddo” e in maniera programmatica. Da questo punto di vista sono interessanti anche le modalità organizzative che offrono un nuovo paradigma di organizzazione della società civile. La cosa che più colpisce ancora oggi, dopo otto anni, è la spontaneità del movimento che richiama una forte dose di motivazione personale. E’, inoltre, un movimento acefalo, senza leaderismi, ma con una eccezionale intelligenza collettiva, con una forte capacità di attrazione soprattutto giovanile. Ma, soprattutto, è straordinario per la sua durata e la sua efficacia. Senza alcuna struttura organizzata per diversi anni ha assicurato una lunga attività, sottraendosi a quelle dinamiche del ciclo dell’emozione, i risultati sono stati misurati in termini di stringente efficacia a partire dal rigore con cui si è offerta ai consumatori la garanzia che il commerciante iscritto nella lista non paga il pizzo. Nella difficile situazione palermitana ha svolto un ruolo decisivo, assieme alla FAI, nella nascita, finalmente, dell’associazione antiracket Libero Futuro. Anche grazie a Addiopizzo si è avviata un’inversione nel modo di considerare l’acquiescenza degli operatori economici: oggi inizia a esserci riprovazione verso chi paga il pizzo, venti anni fa invece veniva considerato normale e l’imprenditore condannato per favoreggiamento era considerato doppiamente vittima (della mafia e dello Stato che lo condannava). Oggi c’è un nuovo sentire comune. E, in grande parte, è merito di quei giovanissimi “attacchini”.